martedì 10 aprile 2012

Una storia - Il gattino e la calandra


Dedicato a te, amore mio, che tanto ami questi animali.

La calandra è il posto migliore per lui, perché li nessuno lo vede. Sa che viene usata solo la mattina, quando già si è allontanato nell’erba a cercare da mangiare. Ogni volta che la mettono in moto fa un rumore fortissimo, specialmente quando le lamiere da piegare sono molto spesse. In quel umore si avverte tutta la resistenza del ferro, dei legami chimici che mutano, delle inclusioni che si spostano. A lui, nonostante tutto, fa ancora un po’ paura; così corre ancora più lontano, sino a che quel rumore insopportabile si attenua e diventa infine solo un brutto ricordo. La prima volta che ha aperto gli occhi ha visto l’azzurro del mare ed ha pensato che fosse sua madre. Era bellissimo. Era una giornata di Aprile, calda e rigogliosa. Lui si sentiva protetto da quel caldo ed i suoi occhi ancora mezzi chiusi, si stringevano e si spalancavano quasi automaticamente, per cercare di rendere tutto un po’ meno confuso. Forse una madre vera davvero non l’ha mai avuta, ed anche se per un  po’ l’ha cercata lui davvero si sentiva figlio del mare, così azzurro e sereno. Per qualche giorno era andato avanti tutto in quel modo, con quei ritmi, tra il prato ed il mare. Una cuccia di stracci, era questo il suo riparo, proprio in mezzo al prato di fronte al mare: non poteva chiedere di meglio. Così spesso andava verso quella magnifica distesa azzurra a guardare i pesci che saltavano; erano tantissimi.

Fu un giorno di fine Aprile quando capì che il suo mondo non sarebbe stato mai più uguale a prima. Si era svegliato ed istintivamente era andato a cercare il mare, come sempre. Ma davanti a lui la grande distesa azzurra era scomparsa. Non c’era più nulla. Non riusciva più a scorgerne il colore ed i riflessi perché davanti a lui c’era solo una enorme buco scuro dal quale saliva un irresistibile odore di pesce andato a male. Per un po’ di giorni aveva avuto paura, ma poi, attirato dall’odore sempre più forte, era sceso per delle scale di cui non riusciva neppure a scorgere la fine.

Quel giro nell’Inferno si era rivelato essere un avventura incredibile che neppure lui sapeva quanto tempo era durata. Quando poi era risalito verso l'alto, era stato sorpreso da un rumore terribile: quello oggi familiare della calandra. Sentiva voci. Sentiva soprattutto rumore. Aveva paura. Aveva corso gli ultimi gradini con il cuore in gola, quasi volendo correre incontro a quella realtà terrificante. Una volta arrivato nel suo prato si era accorto che il prato non c’era più. Un cumulo immenso di ferro aveva spazzato via il suo mondo. Senza mare e senza rifugio: era avvenuto tutto così in fretta che neppure se ne rendeva conto. Così, quella sera, quando il macchinario fu spento, aveva scelto la calandra.

A volte il mare torna, a volte scompare. Lui non può sapere che quel riflusso è dettato dal ritmo delle grandi navi che entrano e liberano il bacino di carenaggio. A volte sente dei rumori che lo spaventano terribilmente. A volte sente la terra vibrare sotto le sue zampe. Le persone gli fanno paura: qualcuno gli aveva persino tirato addosso un liquido scuro e male odorante. Non ha più pensato a cercare sua madre. Non si è mai chiesto dove sia andata. Ha solo pensato che, come il mare, tutto va e tutto torna. Così la sera, quando finalmente tutto è tranquillo, lui torna sotto la calandra a dormire. E mentre chiude gli occhi vede ancora quell’azzurro di quando tutto gli era parso così meraviglioso.

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