lunedì 5 aprile 2010

Il Fiandre che non c'è mai stato

Quando vedi una corsa come quella di ieri, ti viene da inforcare la bicicletta e disfarti di fatica. Speravo nel corpo a corpo, ed i Campioni mi hanno accontentato. Boonen - Cancellara, sfida di spessore incredibile. Splendido Fiandre.
Quando ero ragazzino andavo in cerca di percorsi che potessero ricordare la Classica Fiamminga. Avevo studiato un giro di una quarantina di chilometri: era zeppo di salite brevi e ripide, con tante curve e ricco di viottoli asfaltati che tagliavano i campi. Strade che nessuno conosceva, utilizzate dai contadini e pochi altri, che si perdevano tra le coltivazioni di grano e di cicoria. Pedalavo su quelle stradine e sognavo di essere sul Molenberg oppure sul Berendries. Quando pioveva, il fango invadeva quei passaggi ed allora mi immedesimavo nei grandi campioni, inventandomi sfide con me stesso e vantaggi immaginari su avversari agguerriti. C'era un bivio, su un pianoro desolato, dove cambiava il vento; e lì si scatenava la battaglia. Il gruppo si divideva in più tronconi e chi rimaneva dietro era spacciato. Urla e gomitate, pur di prendere quella curva in testa. Da quel pianoro si vedono gli Appennini sulle sinistra, mentre sulla destra si stendono le colline coltivate a vigna. Nelle belle giornate, oltre le colline, si arriva a vedere le Alpi. Ma il mio Fiandre si correva nelle giornate grigie e ventose. Per entrare nella leggenda, bisognava soffrire. Quei lunghi rettilinei controvento assorbivano tutte le energie, così da spegnermi l'entusiasmo necessario per concludere la prova degnamente. A volte ammetto d'aver abbandonato la competizione prima dell'ultimo muro (il Grammont, ovviamente). La promessa d'una tavola imbandita era una motivazione più che sufficiente per tornare a casa, ed affrontare gli strappi che rimanevano. Tuttavia, quell'ultimo terribile muro, prevedeva una deviazione, così spesso rimaneva desolato in attesa della corsa che non sarebbe mai arrivata. Ripensando a quei giorni mi tornano in mente l'odore della pelle e dei campi bagnati. Erano i tempi di Edwig Van Hooydonk che staccava tutti sul Bosberg e poi piangeva come un bimbo al traguardo. Gli uomini erano duri, i tifosi cattivi e le strade impraticabili. Poi, chissà come, sono cresciuto, e non ho più corso quella gara. Di Fiandre, quelli veri, ne ho visti molti dal teleschermo ma nessuno mi aveva entusiasmato come quelli che mi ero solamente immaginato. Quelli dove non si deludevano i tifosi, ma ci si dava battaglia sino in fondo, senza concedere nulla agli avversari. Così, quei due la davanti, ieri, mi hanno messo i brividi. Quella loro cattiveria, quella sfida cruda e reale: i gesti, lo sguardo che evitava l'avversario, il taglio della curva di Boonen. Tutte piccole magie che sono diventate, ieri, patrimonio di tutti. Rendendo reale il racconto di un Fiandre che non c'è mai stato.

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