sabato 12 novembre 2011

Lo scricciolo ed il tenente - Storia del Giro d'Italia 1997

Il Giro d’Italia si era concluso da poco ed i tifosi scendevano in maniera ordinata ed in fila indiana dalla montagna più dura della corsa. Di tanto in tanto una bicicletta sfilava sulla destra a velocità folle per poi sparire dietro la curva non senza un forte stridio di freni. La strada tornava alla sua normalità di sempre ed i larici rimanevano a guardia di quel posto maledetto ed incantato. Sulla sponda opposta della valle si scorgevano, nel chiarore del tardo pomeriggio le ultime vette innevate. Era ormai Giugno, e cominciava una nuova estate.

Giro 1997, Monte Beigua. Di Grande tira il gruppo con Tonkov, Shefer, Serrano, Gotti e Piepoli.

In quegli anni il Giro era affare interno. Gli stranieri erano pochissimi, eppure vincevano sempre loro. Era da cinque edizioni che un Italiano non riusciva a vincere la maglia rosa, ma quel Giro partì sotto l’insegna del tricolore, con la bella volata di Cipollini al Lido di Venezia. Un Giro tipicamente “alla Castellano” con le grandi difficoltà altimetriche collocate negli ultimi tre giorni ed una lunga discesa verso sud durante la quale venivano collocate un paio di belle tappe (la crono di San Marino ed il Terminillo). Gli scalatori Italiani Gotti e Pantani erano i grandi favoriti, pur con tanti punti interrogativi; Pantani rientrava dal lungo infortunio di Superga e Gotti non aveva mai mostrato continuità. Il grande avversario straniero si chiamava Leblanc mentre il burbero Russo Tonkov era la maglia rosa uscente. Nel pieno della sua maturità atletica, da anni in Italia, viveva in una dimensione tutta sua, ancora convinto di militare sotto l’Armata Rossa di cui pare avesse fatto parte. Un tipo tosto, che parlava male l’Italiano ma che era chiarissimo in bicicletta: pedalata potente e progressione spaventosa, utilizzava pochissimo il fuori sella ma spesso se li toglieva tutti di ruota anche da seduto.

Tonkov spaventò tifosi ed avversari proprio in quella fase iniziale allorché vinse sia a crono, sia in salita sul Terminillo. Il Giro dopo la montagna Romana pareva già deciso: forte di uno squadrone attrezzatissimo (la Mapei), il Russo non sembrava avere avversari. Troppe incognite sugli Italiani e troppo evanescente Leblanc. Il resto del Giro rischiava di diventare una lunga processione verso Milano. Dove avrebbero potuto attaccarlo gli scalatori puri visto che si erano fatti infilzare in salita? Da chi avrebbe potuto perdere a crono visto che già si era dimostrato superiore nella prima? I timori di essere di fronte ad un Giro già scritto si materializzarono allorché un gatto decise di porre fine al Giro di Marco Pantani. In una discesa verso la costiera Amalfitana il Giro si ritrovò improvvisamente senza lo scalatore più atteso a causa di un incidente (un altro). 

Senza Pantani il Giro si affidava ai rapportoni di Leblanc e ad una possibile imboscata che partisse da lontano. In pochi ci credevano.

Ma i primi segnali d’un qualcosa di nuovo li avremmo visti molto presto. Da La Spezia a Varazze si correva la dodicesima tappa con due salite nel finale: le sconosciute Passo del Faiallo e Monte Beigua. Questa tappa veniva chiamata “tappa dei Pirenei Italiani”, per i paesaggi brulli e scoscesi che offrivano i monti Liguri. Quasi nessuno dei favoriti conosceva quelle strade e fu un grosso errore. Il solo Piepoli decise di vedere le due salite il giorno prima con un bliz in auto. Ed infatti fu proprio Piepoli a scatenare l’inferno sulle durissime rampe del Beigua allorchè il gruppo allungatissimo dalla discesa del Faiallo imboccò la stradina infame. Rimasero in pochi, che poi vennero raggiunti da altri, quando la strada spianò, a metà salita.

Tonkv e Gotti si sfidano sul Mortirolo. Sono le ultime pedalate del Giro d'Italia 1997.
Ma le sorprese non erano finite. Piepoli si fece male (molto) cadendo sui mangia e bevi che precedevano gli ultimi tre chilometri mentre Leblanc e Gotti attaccarono a tenaglia su quegli ultimi tre chilometri che portavano alla cima con strapi durissimi e fastidiose contropendenze. I tifosi erano increduli: Tonkov pareva soffrire quella pressione. Per il Russo andò anche peggio quando il suo gregario Di Grande decise di lasciarlo solo nella terrificante discesa verso Varazze, per andare a vincere la tappa. Sono quelle cose che non si fanno!

Tonkov era (giustamente) furioso ed il termometro del Giro saliva alle stelle.

Così, la tappa di Cervinia, piazzata nel secondo week end, diventava improvvisamente un appuntamento da non perdere. E quel giorno se ne videro di tutti i colori. Leblanc accese la sfida lontanissimo; si lanciò con attacchi furiosi sin dalle prime salite, ma Tonkov si dimostrò sempre pronto e reattivo (troppo). Quelli erano infatti veri e propri attacchi suicidi. Il Francese si polverizzò all’inizio della salita decisiva, ben prima di Valtournenche. Il Russo durò un po’ di più, ma si dovette arrendere a – udite! udite! – Ivan Gotti. Lo scricciolo Bergamasco era riuscito laddove nessuno si era mai spinto neppure con il pensiero. Quel giorno Gottino fece veramente una bella scalata che gli valse la maglia rosa ed un certo vantaggio in classifica. Da segnalare che Piepoli, praticamente mummificato dopo la caduta del Beigua, seppe resistere alla ruota di Tonkov. Segno che il Russo era veramente in difficoltà.

La reazione di Tonkov non si fece attendere. Ci provò il giorno successivo, sul Mottarone sotto la pioggia battente, ma Gotti non si fece sorprendere.

Il Russo poteva ancora giocarsi la carta della crono: da Baselga di Pinè a Cavalese, una quarantina di chilometri in quota. Fu un massacro: caddero Leblanc e Shefer (terzo e quarto in generale), entrambi costretti al ritiro. Ma l’episodio chiave avvenne poco prima della partenza del Russo. La giuria non accettò la sua Colnago “carenata”. La scelta diede vita al revival del complotto anti-straniero, fu riesumato l’elicottero del 1984 e tanto altro. Quanto sia stata decisiva quella scelta è ancora oggi difficile a dirsi, ma sicuramente non favorì Tonkov che poteva comunque ancora dimostrare di essere il migliore sulle salite finali del Giro.

Se le tappe che arrivavano a Falzes ed al Tonale non si presentavano come decisive, certamente quella del Mortirolo lo sarebbe stata. Preceduto dal Crocedomini, l’incubo della Valtellina si ergeva a giudice finale della sfida. Gotti contro Tonkov e viceversa. Tutti attendevano il duello. E duello fu davvero. La Mapei (squadra di Tonkov) mandò in avanscoperta Bugno. La scelta però si rivelò poco azzeccata, perché la corsa in pratica non si accese mai se non a pochi chilometri da Mazzo, dove la squadra di Squinzi mise in riga tutto il gruppo con un azione di rara potenza. I primi quattro chilometri di strada furono volati a velocità insostenibili. Gotti e Tonkov rimasero soli. Lunghi attimi di sfida vera; il Russo cercò disperatamente di staccare l’Italiano ma Gotti su quella salita era di casa. Il Mortirolo era la “sua” salita e non si fece sorprendere. Ben presto Tonkov rinunciò, temendo di subire addirittura l’umiliazione del contropiede. Gotti, in qualche modo lo graziò, attirandosi poi un fiume di recriminazioni di chi avrebbe voluto un atteggiamento più aggressivo.
Quel pomeriggio sul Mortirolo fu il primo di altri che vissi sulla stradina infame del Giro d’Italia. I prati verdi della valle e le lontane cime ancora imbiancate facevano da sfondo al rientro a casa. Era una splendida favola di tanti anni fa.


Nessun commento: