Madrid è maledettamente lontana nel pomeriggio di Varese. Mentre l’inno Italiano invade la strada Tom Boonen è alle prese con un turbolento dopo corsa fatto di borse che vanno e vengono e di parole che escono a fatica. Dietro la rete metallica c’è Freire che tuona contro il compagno Valverde e Tom all’improvviso sente il bisogno di appoggiare l’asciugamano al volto. Quasi a nasconderlo; è andata male. A tre anni dalla splendida volata che lo premiò campione del Mondo il fuoriclasse Belga non è più riuscito a disputare un Mondiale all’altezza. Aveva messo la squadra a fare l’andatura per ricucire sulla fuga che pareva decisiva, quella dei tre Italiani e dei tre Spagnoli; persino Gilbert si era votato alla causa del giovane Fiammingo, e così Van Avermaet che, presente in quella fuga, non tirava un metro. Nulla da fare, le accelerazioni degli Italiani lo avevano tagliato fuori. La salita del Montello si era rivelata persino troppo dura mentre quella dei Ronchi troppo lunga; Boonen se la prendeva però con i compagni che, a suo dire, si erano lasciati andare ad una condotta troppo brillante dell’inseguimento. Una rincorsa all’arrembaggio Italiano quando sarebbe stato più consono un andatura regolare.
La realtà dei fatti ha visto invece il campione Belga ancora indietro di condizione; egli non era preparato a reagire alle accelerazioni. Ecco perché quella condotta conservativa. Ecco perché le critiche ai compagni. Boonen a Varese era più un velocista che un cacciatore di Classiche del suo livello.
La realtà dei fatti ha visto invece il campione Belga ancora indietro di condizione; egli non era preparato a reagire alle accelerazioni. Ecco perché quella condotta conservativa. Ecco perché le critiche ai compagni. Boonen a Varese era più un velocista che un cacciatore di Classiche del suo livello.
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