domenica 30 gennaio 2011

Quando leggero volava sull'Alpe

Era il 1995 quando io e mio fratello decidemmo di andare a vedere il Tour sull'Alpe d'Huez. Mancavo dal Tour sin dal 1991 ed avevo voglia di rivivere le emozioni che il "mio" Bugno mi aveva regalato quel giorno in cui vinse in maglia tricolore.
Mia madre quasi obbligò mio fratello a venire; lui che, non essendo appassionato di ciclismo, faticava a capire il motivo di una trasferta tanto impegnativa. Seguiva il ciclismo come lo può seguire un ragazzo che ha un fratello malato delle due ruote. Così partimmo.
Era il mio primo lungo viaggio in automobile, avevo ventuno anni e sino ad allora mi ero accontentato delle corse locali, del passaggio della Milano Sanremo e di qualche lunga trasferta in treno per il Giro d'Italia. Quel giorno era limpido. Sul Lautaret l'aria era gelida ed il colore del cielo era netto, come in quelle giornate che seguono ad un temporale.
Mangiammo lungo la discesa verso Borg d'Oisan ed arrivammo in paese nel primo pomeriggio. Mi rifugiai a vedere la tappa che giungeve quel giorno a La Plagne mentre Massimo, mio fratello, dormiva in automobile, stanco del viaggio appena compiuto.
Sopra di noi, l'Alpe incombeva con i suoi tornanti. Il cielo si era coperto ma era decisamente più caldo. Il bar era pieno di tifosi di tutte le nazioni. Boccali di birra stracolmi e gente che andava e veniva da una sala all'altra. Non vidi finire la tappa ma decisi di salire verso l'Alpe per cercare un posto più in alto possibile. Era sera quando montammo la tenda su un pendio lungo i tornanti finali. La gente discendeva e risaliva la strada e qualcuno, con un trombone, intonava YMCA.
Ci alzammo presto, la mattina seguente. Troppo presto, tanto che Massimo si riaddormentò in macchina. Ma io ero ancora troppo inesperto, ed emozionato, per capire come godermi davvero un giornata di ciclismo. L'attesa fu lunghissima. Faceva caldo e c'era gente dappertutto. Visitammo la città ed anche alcuni impianti. Poi il silenzio calò sulla strada. Stava per passare il Tour. Le notizie si confondevano ed infine arrivarono le auto ufficiali e l'elicottero.
Dalla curva là in fondo sbucò Pantanì. Era solo. Era leggero. Era potente. Il battito d'ali d'una falena.
La gente sulla strada urlava ed incitava quel giovane in maglia Carrera. Era il degno erede di Chiappuccì. E forse anche qualcosa di più. Indurain si trascinava dietro Zuelle e Rijs ma con oltre un minuto di ritardo. Faceva suo un altro Tour.
Scendemmo dall'Alpe che era sera, e risalimmo il Lauteret. Giungemmo in Italia che era notte. E quando arrivammo a casa fu quasi mattino. Non ricordo di cosa parlammo e quali storie ci raccontammo. Ma quella trasferta con mio fratello fu una delle più belle. La più bella da ricordare adesso che lui abita lontano. Chissà se mai potremo rubare un altra giornata così alle nostre vite? Un motivo da niente, e partire per vivere assieme una giornata di ciclismo. Un motivo da niente per essere fratelli. Un motivo da cercare, magari in un boccale di birra, od in un piccolo screzio durante il viaggio.
Anni dopo, era il 1999 andai di nuovo sull'Alpe da solo, ed incontrai due fratelli Belgi con cui mangiai una pizza. E mi tornò in mente quella giornata di Luglio.
Che ormai era un ricordo leggero. Come il battito d'ala d'una falena.
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In ricordo di Marco Pantani

1 commento:

Alessandro Federico ha detto...

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