giovedì 3 febbraio 2011

Quando il cappellino rimase sulla nuca

Era il 1997 ed aveva vinto il giorno prima all'Alpe d'Huez (per la seconda volta). Eravamo in tre. Io, mio fratello Massimo e mio cugino Giorgio. Il Tour era ormai diventato un appuntamento fisso. Irrinunciabile. Proprio grazie all'entusiasmo che Marco Pantani aveva acceso in noi. Alcuni giorni fa ho risentito Giorgio, ed abbiamo parlato di quei giorni, di quei viaggi che avevamo condiviso assieme. Poche lire e code lunghissime pur di vedere la corsa. Era notte quando arrivammo a Courchevel ed adagiammo la tenda proprio sotto i cavi di una seggiovia. Erano serate lunghssime e pareva che la vita non dovesse mai passare. Eppure è passata così in fretta. Era il Tour di Ullrich; era un Tour chiuso già sui Pirenei, che sulle Alpi riprese vigore. Pantani aveva vinto da solo sulla sua Alpe e noi ci aspettavamo il bis nella tappa più dura del Tour. C'era un caldo inferale sulla salita di Courchevel quel giorno di Luglio, e ricordo che Massimo e Giorgio si concessero una partita al mini golf. Ed io? non ricordo alcunchè di quella giorata se non la corsa. Una selezione spietata. Gli ultimi che giunsero a sera. La moltitudine di gente lungo la strada. L'idea di tanti chilometri per raggiungere la salita del giorno successivo. Ero un po' il capo banda. Loro erano i miei angeli. Oggi, che seguo le corse da solo, mi rendo conto di quanto era bello seguirle con loro. Ciascuno aveva il suo favorito, ma tutti adoravamo quel ciclismo, quella selezione spietata. Quel corridore.
Quel giorno Pantani soffrì. Si staccò sulla Madeleine ed inseguì per tutto il tempo, eppure su Courchevel recuperò terreno ai primi. Ma quel giorno il cappellino rimase sulla nuca. Quel giorno bisognava soffrire; antipasto amaro d'un altro giorno magico solo poche ore dopo: Morzine.
Erano gli anni in cui la vita sembrava non dover passare mai.
Mai più.
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In ricordo di Marco Pantani

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