sabato 30 luglio 2011

Chiamata dal Telegraph

Foto Rufux (flickr album)


Un po’ di Virenque e tanto di se stesso. L’ultimo Tour è stato avvincente grazie al Francese meno nobile. Non è stato Di Gregorio, ne Moncutie, ne tantomeno Casar a far riemergere la grandeur dei cugini, bensì il più terreno Voekler, dall’assonanza dannatamente Tedesca (ma tutto il resto è chiaramente latino). Una volta si diceva che il Tour aveva bisogno di un Italiano in prima linea (ed il motto vale anche oggi), ma certamente nessuno avrebbe potuto mai immaginare che la stessa cosa si sarebbe detta dei Francesi. Erano i tempi dei fasti degli anni ’80, quando c’era solo da scegliere tra Hinault, Bernard, Fignon e Mottet. Poi le prime avvisaglie della crisi con Jaja e Virenque a sostenere da soli il movimento, sino al tracollo ed al buio successivo. Difficile dire oggi se quest’ometto Alsaziano sia riuscito a riattivare un meccanismo inceppato, ma certamente la sua determinazione e la sua cieca cocciutaggine hanno dato lustro al Tour de France 2011. Quel testardo inseguire sul Telegraph, quel gesto da autodistruzione, altro non è stato che un magnifico momento di sport in cui il ragionamento è stato lasciato da parte e l’istinto ha prevalso su tutto il resto. Davanti Contador pedalava duro, con in testa il solo pensiero di far saltare il banco buttandola sul corpo a corpo. Alla ruota Andy, a francobollarlo ed a cuocersi pian piano senza l’ombra d’un disegno tattico ma con tanto istinto nel seguire l’odiata ruota dello Spagnolo. Terzo protagonista di una scalata suicida il Francese, attaccato con bava di ragno sino al momento in cui Evans, giocandosela da furbo, s’è lasciato sfilare. I metri sono divenute cinque, poi venti poi cinquanta mentre la montagna davanti diveniva sempre più indigesta e maestosa. Ma Voekler non mollava, insisteva a pigiare come un ossesso, a bagnomaria tra quelli davanti, imprendibili, e quelli dietro, al mozzo dei loro fidi gregari, su una strada che inganna e che richiede grande dispendio di energia per chi è davanti (almeno sino a Plan Lachat). Sarebbe ingeneroso, per questa tastiera, infierire contro il povero Thomas; da queste pagine ho sempre incitato allo scontro frontale, al disperato sogno di vederli lottare fino all’ultimo respiro. Alla fine, sull’Alpe ha ancora una volta avuto ragione il rigore del ragionamento, ma nelle fredde giornate del prossimo inverno (e chissà per quanto ancora) tutti ricorderemo la sfida folle del Telegraph. E la gente, tornerà a riempire le strade con la speranza di vederli di nuovo lottare senza pari. Senza esclusione di colpi. Su quella strada il ciclismo forse è davvero cambiato.

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