Questo racconto è dedicato a tutti i corridori che hanno corso e correranno il Giro di Lombardia senza mai averlo neppure pensato di vincere.
Appena una settimana fa, alla partenza del Giro dell'Emilia parlavamo di vacanze e mi diceva che, in questo periodo, le occasioni migliori si trovano con i last minute. Si parlava di posti caldi e di spiagge assolate. Diego Caccia ha trovato la sua occasione last minute al Giro di Lombardia, con una fuga epica. Strade strette, discese bagnate e pericolose, scivolate e tanto freddo. Alla fine non ha vinto perchè, in fondo, vincere non è il suo mestiere. Lui, casomai, è per il lavoro "sporco", quello umile ma concreto di chi sa mettersi a disposizione per un altro. Lui il traguardo non lo ha neppure raggiunto. Ovvero, lo ha raggiunto per altre strade, diverse da quelle della corsa ma certamente lui è stato uno dei protagonisti più autentici del Giro di Lombardia 2010. La corsa delle cadute, delle discese scivolose e fredde, quella dell'acqua a catinelle fino alla fine, quella del buio sul traguardo del primo, e figurarsi per gli altri. E' Domenica sera e l'autunno si presenta con le raffiche di una prima bora stagionale. La stanza è illuminata di una luce calda mentre sul vetro, di tanto in tanto, rintocca il suono di una foglia portata dal vento. Il grande ciclismo ha chiuso ieri, ed ora innanzi sarà solo la fantasia a portarci in giro. Per non farsi prendere dalla nostalgia bisogna subito parlare di ciclismo vero, quello degli eroi. Sono al telefono con Caccia che mi parla della sua corsa, di un attacco nato per puro caso che lo ha portato molto lontano, quasi sino in fondo. Ancora un sibilo di vento da fuori mi distrae. Vai avanti Diego, portaci laggiù, nel diluvio delle Foglie Morte…
“Sono giunto a Como quando la corsa era ai meno dieci dall’arrivo. La mia fidanzata mi aspettava vicino al motor home della squadra e penso che lei avesse più freddo di me.” – Diego Caccia ha abbandonato la gara mentre i primi stavano affrontando le prime rampe del Sormano, cinquanta all’arrivo, dopo duecento spesi davanti in fuga. “Ho cominciato a patire sul Ghisallo quando siamo rimasti soli io ed Albasini. Lo Svizzero faceva il ritmo mentre io mi sono limitato ad un paio di cambi nel pezzo in falsopiano, a metà ascesa, eppure congelavo, tanto da non riuscire a stare con lui nella seconda parte della salita.”
Sormano, cinquanta all’arrivo. Caccia gira la bici a valle e per lui comincia una nuova avventura. “Conosco la zona, mi ci alleno spesso” – vive ad una trentina di chilometri da Lecco – “così da riuscire a passare da una scorciatoia all’altra con in testa un unico pensiero; un the caldo.”
“Prima di abbandonare la gara l’ammiraglia mi aveva passato dei vestiti asciutti, ma visto che continuava a piovere tornai fradicio dopo pochi chilimetri di strada.” – “Una volta a Como, cercavo la zona delle squadre ma… niente. Non riuscivo a trovarle.”
Como è un labirinto. Se non la si conosce si fa presto a perdere il senso dell’orientamento perchè I palazzo coprono la vista del lago ed ogni strada appare uguale a quella prima.
“Alla fine ho chiesto ad un vigile ma in cambio ho ricevuto soltanto una riga di insulti nei confronti della corsa e del ciclismo in generale.”
Un vigile urbano frustrato, ignaro di chi ha di fronte, comincia a lamentarsi sull’opportunità di ospitare i grandi eventi di ciclismo in città.
“Tuttavia io mi sentivo ben più frustrato di lui cos’ perdendo la pazienza l’ho mandato a farsi un giro.”
Como è immersa nell’oscurità quando Caccia raggiunge finalmente il bus della squadra. La pioggia cade a catinelle e solo 34 corridori riusciranno a terminarla. Mentre tutti gli altri immaginiamo che se la saranno passata più o meno come il nostro amico.
“Mi alleno spesso da queste parti, conosco bene il tempo del lago e quando la mattina precedente la corsa aveva raggiunto le rive ero sicuro che le nubi avrebbero retto tutto il giorno, senza una goccia d’acqua.”
“Il mio compito in corsa era quello di tenere al coperto Giovanni Visconti, il nostro corridore di punta, mentre i miei compagni Mirenda, Ricci Bitti e De Negri dovevano andare in fuga.” – “Ho provato uno scatto, uno soltanto, per coprire Ricci Bitti che aveva provato sin dal principio e doveva rifiatare così che, dopo soli venti chilometri di gara, la fuga va. Senza Ricci Bitti ma con me!”
“Eravamo in sei davanti: io, il mio compagni Mirenda, Da Dalto, Gallopin, Carlstrom ed Albasini.” – Ci siamo scalati gli Intelvi senza strafare perché sul piano viaggiavamo veloci ed avevamo accumulato un vantaggio rassicurante.”
“Avevamo la fortuna di essere solo in sei perché chi era in gruppo ha patito le pene dell’inferno.” – “Mi hanno poi raccontato che hanno cominciato a cadere sin dalla prima discesa. Quella degli Intelvi è particolarmente difficile e l’asfalto era pieno di fogliame. Era maledettamente scivoloso.” – “Così noi, la davanti venivamo informati alla radio che il gruppo si stava dividendo a causa delle cadute.”
La corsa copre metà percorso e comincia la seconda ascesa di giornata verso il Colle di Balisio. “Abbiamo perso un patrimonio su quella salita. Il gruppo recuperava minuto su minuto con quelli della Pharma scatenati ad inseguirci, mentre il nostro ritmo era del tutto insoddisfacente.”
Il peggio deve ancora arrivare. Dalla cima del Ballabio a Lecco ci sono dieci chilometri di discesa.
“Pioveva da ormai un ora e quando abbiamo cominciato a scendere abbiamo subito avuto dei seri problemi.” – “Gallopin era pericoloso, non stava in piedi ed era un pericolo per tutti noi, doveva avere dei seri problemi al mezzo.” – “Tagliava le curve, frenava a scatti e su una curva ho rischiato grosso anch’io a causa sua.”
A Lecco sono rimasti in quattro, perché Gallopin e Mirenda sono caduti.
“Avevamo tre minuti sul gruppo a quel punto ma le strade strette del lungolago ci favorivano perché per il gruppo era difficile organizzare un inseguimento.”
Ghisallo; ci siamo. Il Santuario del ciclismo. Uno dei pochi posti che in ogni istante racconta di ciclismo. Una salita per pochi. Caccia è li davanti con Albasini che fa il ritmo e lui che stringe i denti pur capendo di non essere solo.
“ Erano in parecchi a gridare il mio nome. Ero davanti ad una corsa magica su una salita magica e la gente conosceva il mio nome.”
E’ il momento in cui il suo capitano Visconti si muove scattando dal gruppo e lo raggiunge chiedendogli un surplus di sforzo.
“Dovevo dare tutto quello che mi era rimasto, in fondo ero li davanti per quello.” – “La discesa verso Asso è fredda persino ad Agosto e ieri era un ghiacciaio. Cosicché una volta cominciata la salita verso Sormano mi sono lasciato sfilare, completamente svuotato dallo sforzo, quasi rimbambito.”
Anche i genitori di Diego erano sul percorso. “Peccato che avessero scelto di seguire la corsa in moto. Mi hanno passato da bere sul Ballabio ed erano quasi più infreddoliti di me.” – “Per passarmi quel the hanno dovuto prima riscaldarlo in un bar perché si era raffreddato nell’attesa del passaggio.”
Ed eccoci di nuovo al principio del racconto. A quella curva, su quella salita, sotto quella pioggia. La favola che abbiamo raccontato altro non è che uno straccio di realtà d’un giorno epico per il Giro di Lombardia. In duecento a Milano e solo in trentaquattro a Como. Gli altri a cercare un modo per tornare a casa. A noi rimangono le immagini dei primi, stremati al buio, sotto la pioggia battente. Ma ora conosciamo l’odissea di chi quel giorno ha dato tutto molto prima della fine perché quello è il suo mestiere.
Strade strette, discese spaventose, foglie morte, acqua, freddo e cadute. Che corsa.
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