Thibaut Pinot, classe 1990, durante la crono tra Foligno e Montefalco |
L'Italia del Giro ha un volto allegro e generoso. Ti offre un pranzo fugace, ti racconta storie poco conosciute, ti parla della sua terra e dei suoi cani, dei suoi anni passati e dei suoi figli lontani. La corsa non c'è ancora, nemmeno si sa bene quando e da dove verrà. Ma è poco importante. Sembra un dettaglio, in una giornata di sole e di giardini rinnovati ad hoc. E non può mancare il vino, è un po' anche la sua festa. C'erano vigne anche in Sardegna, a metà fra Alghero e Olbia. Quelle dell'Umbria hanno più storia, mani più esperte e palati allenati. Vicine di casa di uliveti altrettanto storici. Proprio qualche settimana fa ero all'ombra di un ulivo nato milleseicento anni fa. Mille-sei-cento. Si trova vicino Trevi e ha visto metà della storia dell'uomo. Forse non ha mai visto una corsa di ciclismo, ma non pare avere fretta di farlo. Capiterà.
L'Umbria è una terra meravigliosa, in cui il tempo sembra spesso scorrere più lento. Come quello di una cronometro, rispetto a una gara in linea. I borghi di pietre bianche si stagliano contro le pareti scure dei monti. Assisi sul Subasio, Montefalco e Bevagna ben visibili dal tracciato, due perle come Spello e Trevi poco distanti. Gente discreta e anche molto esperta di ciclismo. D'altronde la Storia con la maiuscola è passata un bel po' da queste parti, con passi decisi e poco rumorosi. Come le pedalate di una crono, che meno aria muovi e meglio è, che meno occhi muovi e meglio è.
Non li ha certo mossi Thibaut Pinot, cognome perfetto per questi saliscendi a grappoli, francese che sembra un veterano, ma che è ancora giovane e ha di certo l'estro per poter ribaltare un Giro. O almeno provarci.
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