L'ultima foto che ho scattato a Michele Scarponi, a Fermo |
Vento in faccia, aria rigida e tagliente di un inverno di lavoro prolungato.
Oppure caldo, piacevole e avvolgente, come l'estate dei ricordi ritrovati in un album di vecchie foto.
Il clic del casco allacciato.
Il clac del pedale agganciato.
Una storia che si ripete, con i suoi ritmi, i suoi rituali, con la voglia di evadere dal proprio pane quotidiano.
La timida leggerezza della prima pedalata, quella che fa già intuire il tipo di giornata che sarà. Un po' come il piede giù dal letto o il meteo visto di fretta alla tv.
E poi via, con l'affanno della salita e il respiro della discesa, l'asfalto un materasso per quei sogni che crescono solo alla luce del sole. Un albero da frutto a bordo strada e la fontana che ricordavi esattamente in quel punto, dopo la curva che ti scopre il lago.
Ah che sarà che sarà che ti gira in testa, un ritornello per accompagnare i giri di pedale e dimenticare, consapevolmente, la strada che ancora manca per tornare a casa.
Un'esigenza, un piacere, una fatica, un lavoro.
Un rischio, una prova, una conquista.
Denti da stringere e da calare, strade da intuire e da raccontare, come quella volta al bar, di fronte all'ultimo cornetto alla marmellata, ad ascoltare Angelo parlare di Bobet.
Ci torneremo ancora o forse non ci torneremo più, ci arrabbieremo fin troppe volte per un podio mancato o per un sorpasso di troppo. Malediremo con affetto una strada un po' troppo all'insù, quella buca sbucata all'ultimo istante e quel vento, sempre lui, sempre contro.
Ma non ci stancheremo mai di chiudere gli occhi per un attimo infinito e acchiappare, ovunque sia, la libertà.
3 commenti:
bellissimo racconto
grazie, mi fa piacere!
davvero bella anche la foto
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