venerdì 9 febbraio 2018

Laurent Jalabert (d'un buon Francese abbiamo bisogno)

Laurent Jalabert in fuga solitaria sui Pirenei al Tour de France 2001

Il ciclismo Francese è stato per anni subalterno, nonostante una straordinaria tradizione che ha sempre voluto i ciclisti d’oltralpe come i veri condottieri del movimento. La mondializzazione del ciclismo ed il gigantismo del Tour hanno costretto i cugini a lustri di digiuno, sia nelle corse a tappe che nelle classiche. Ma anche negli anni più bui quel ciclismo ha saputo esprimere corridori meravigliosi, ed in testa metto proprio il protagonista di questo post: Jajà. 

Velocista da giovane, scalatore in maturità. Un po’ di tutto Jajà, così lo chiamavano e scrivevano con vernice sulle strade del Tour. Mai profondamente amato, perché tutto l’amore era per Virenque che sapeva vendersi, con la lingua di fuori, con le smorfie, con le battute sagaci che tanto piacciono allo stomaco. Profondamente rispettato perché un gran signore. Lo vidi un giorno a Rapallo nel dopo tappa del Giro ’99, indossava la maglia rosa ed aveva smarrito la strada dell’albergo. Si fermò presso due vigili urbani che non lo riconobbero immediatamente; sebbene vestito delle insegne del primato lo scambiarono per un appassionato. Seppe chiedere con modo, con gran discrezione e gentilezza. I vigili cominciarono a sospettare chi fosse davvero quel ciclista così educato, sinché organizzarono una vera e propria scorta solo per lui. Come si conviene ad una maglia rosa, seppur smarrita. Oggi non saprei dire in chi si è reincarnato il Jajà corridore, direi in Pinot per lo stile della persona, anche se mancano tanto le affermazioni. Laurent Jalabert seppe vincere una Vuelta, la Sanremo, il Lombardia, la Freccia, tante tappe e tante maglie, interrompendo di tanto in tanto il digiuno di vittorie del ciclismo Francese che solo oggi sembra rivitalizzarsi un po’.

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