venerdì 20 giugno 2025

Giro d'Italia 2025 / È finito un altro Giro

 

La chiesa di San Giacomo, quasi in cima al Mortirolo


L'Italia scorre da un finestrino segnato da qualche goccia di pioggia terrosa. Scorrono monti e campanili, aziende, pali della luce. Castelli. Scorrono vittime e innocenti, il gioco delle parti e un chiaro segno di stanchezza. È finito il Giro. O meglio, sta finendo il Giro. Ma poco cambia.

Dicono ci sia una nuova Maglia Rosa, dicono che domani vincerà.

È finito il Giro negli occhi di bambini svelti, che attaccano figurine e svuotano borracce. È finito il Giro negli occhi degli anziani affacciati alle ringhiere, fuori dalle porte di casa. Infiocchettate di rosa e bagnate dal sole che cala e che tutto questo non lo sa.

È l'Italia che va.


Sulla salita del Mortirolo uomini e bici hanno segnato la storia dello sport. E lei, la salita, pare saperlo. Con rispetto e silenzio accoglie chi la affronta a piedi e chi si ferma per un caffè. Suona una fisarmonica a Monno e una fontana offre un po’ di sollievo fresco a un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla. Non c’è la signora Gina, che incontrai proprio qui, stessa fontana stessa montagna, un anno fa. Ma provo comunque a mandarle un saluto, grazie alla sua vicina di casa. Far visita al Mortirolo è un po’ come entrare in un teatro. Ogni spazio riempito e ogni volto sfiorato hanno il loro perché, il loro ruolo nella trama di una giornata particolare. Il parcheggio, il cimitero, l’ingresso in paese e i nomi delle vie. E poi i vigili urbani, i tifosi al primo tornante, tutti quelli che pedalano col cuore all’insù. “Forza e coraggio per andare al Mortiröl”, mi dice una signora molto in là con gli anni, molto in qua con lo spirito. E poi la Recta Contador, un tempo mulattiera bianca e verace, oggi asfalto e tanto chiacchierata. È stato come entrare in un’altra dimensione, come mi sentissi in un altro posto nel mondo. Silenzio e distanze. Un torrente che scorre. Il fiatone. Incontri simbiotici. Perché chi decide di salire da lì, ha per forza qualcosa in comune, qualcosa che non va, qualcosa di storto. San Brizio, ovunque. Pendenze sempre più arcigne. E poi, d’un tratto, il ritorno al mondo di prima. Un mondo continuo e non più spezzato. Mezz’ora di dubbi e certezze, di fughe e ritorni. San Giacomo, in cima al Mortirolo, alla fine ha messo tutti d’accordo. A parlare di treni e di alberghi, di Marco e Michele, di pioggia e di occhi commossi. Finalmente, ho sentito la corsa in un luogo e non ho visto un luogo nella corsa. La pace si è presa un pezzetto di mondo. Tra maglie e striscioni, panini e fatica. Fino agli abbracci e ai saluti con Miriam e Iraia.

San Brizio, lungo la Recta Contador


La Valtellina, vista dall'alto dei suoi vigneti


La Valtellina si apre come uno squarcio profondo e maestoso, che appare all'improvviso lungo le curve sinuose che scendono dall'Aprica. Una V che sa di abbraccio e di culla, a perdita d'occhio, coi raggi del sole che, al tramonto, si poggiano paralleli lungo i pendii dei monti e se ne vanno sotto le coperte. La statale trafficata e una ferrovia a binario unico condividono il fondovalle industrioso, dritto e vivo. Salendo poco più in alto, tutto è immerso in splendidi vigneti a terrazze, incisi da straduncole strette e più nervose. Discontinue, panoramiche. Uno sguardo a valle, uno verso l'alto, tra la paura del vuoto e l'ebbrezza di lasciarsi volare. Percorsi naturalistici, laghi, pedalate e camminate. Qualche sprazzo di storia e la voglia di esserci, nonostante tutto. Milano è vicina, la Svizzera pure. Il lavoro che chiama, la natura che prova a stringerti a sé. Tra chi fugge e chi resta. Bici e maglie storiche a Morbegno, anche una ciclostorica (la Röda Tellina), e poi la corsa, il Giro, prosegue lungo il lago di Como, proprio quel ramo. Anche se poi si addentra e si inerpica, si contorce su un asfalto rovente, che trova sollievo sotto alberi provvidenziali. Incontro Angelo, e ci salutiamo di fretta dal finestrino. C’è un traffico bestiale verso la Brianza.


A Morbegno bici e maglie d'epoca in mostra


Il passaggio del gruppo sotto Palazzo Borromeo Arese a Cesano Maderno


La mostra all'interno dell'Auditorium di Santo Stefano a Cesano Maderno


Cesano Maderno è il palcoscenico di giornata. Me la aspettavo fredda, l’ho trovata bollente, di spiriti e di iniziative. C’è nato Antonio Maspes, 93 primavere fa. E non lo sapevo. C’era una ciclista postina che si allenava consegnando lettere. E non lo sapevo. Santo Stefano Protomartire è il patrono della città e due chiese, dirimpettaie, lo hanno omaggiato in passato e lo celebrano ancora oggi. Una delle due è diventata un auditorium, fresco e affrescato. All’interno, per questi giorni di festa, una mostra di un fotografo locale, Fabrizio Delmati, che ha seguito e ritratto tanti Giri d’Italia. Pantani a braccia aperte contro il soffitto. Poi Moser e Bugno, tante Maglie Rosa, volti ed espressioni del gruppo. A Cesano Maderno c’è una squadra di volontari nutrita, appassionata e cordiale. Pettorina rosa, sguardi sorridenti e il racconto di una comunità varia, che ha sguardi lontani e occhi vicini. Palazzo Borromeo Arese e le sue pieghe preziose del passato e del presente, racconto perfetto di Giuliana e delle sue amiche. Anche lì, una mostra collettiva, “Ladri di biciclette”, tante immagini di vita quotidiana a pedali, e una collaborazione col Museo del Legno, tradizione storica e imprenditoriale di zona.


Biella parla di colori e di Pantani. Che, in ogni luogo in cui si respira ciclismo, c’è sempre. Oropa sta poco più in alto e protegge quello che può, come può. Qui c’è nata, così si dice e si scrive, la Vespa. E le risaie fanno da specchio al profilo dei monti, che il tramonto pennella contro un cielo limpido e libero dai pensieri più cupi. Parlo con una signora che ha una cartoleria e la addobba di rosa ogni volta che passa il Giro. E si commuove parlando di Pantani, nei suoi occhi si legge l’amore che ha, ancora oggi. Queste sono zone a metà, tra la pianura più dura e la montagna più pura. Un tempo tappeto di fabbriche e operosità, oggi alla ricerca di strade nuove, che passano anche attraverso le bici e gli zaini, di viaggiatori appassionati che affrontano se stessi, alla ricerca di storie preziose. A Viverone, tra il castello di Roppolo e il lago, si incrociano la Via Francigena e il Cammino di Oropa. Ed è un fiorire di stimoli e idee. Che non cambieranno di certo il mondo, ma che lo rendono sicuramente più umano.


La curva rosa dei bambini della scuola di Challand-Saint-Anselme


Il gruppo dei migliori transita a Magneaz


La Valle d’Aosta è una terra fatta, anche, di ciclismo. Crescono giovani che si arrampicano in alto, agili e col futuro che, per loro, spesso spalanca porte importanti. E ci torna anche il Giro dei grandi, atteso e festoso. Per tutta la valle tira un vento che pettina i campi e le fronde degli alberi. E, pare, sia contrario alla corsa. Con Iraia passiamo per Verres, già in fermento per la corsa di oggi e la partenza di domani. Ma poi saliamo verso Challand-Saint-Anselme, un piccolo paesino lungo il Col Tzecore, Gran Premio della Montagna di giornata. I bambini della scuola locale hanno meravigliosamente invaso di rosa la curva d’attacco al tratto duro dell’ascesa ed esultano per chiunque passi da quelle parti. C’è addirittura chi risponde ai loro saluti, su tutti Nico Denz, vincitore il giorno precedente. Qui il mondo sembra essere ancora puro, lontano dal vortice tritatutto della tecnologia, che molto mangia e niente osserva. Al bar si fanno panini e caffè, qualcuno assiste al suo primo Giro d’Italia dall’ombra confortante di un passeggino. E la scuola, quella dei bambini, è proprio lì davanti, sul percorso di gara.


Verso Champoluc, BRAVI TUTTI


Musica per la Notte Rosa di Verres


Corsa e destino proseguono verso Champoluc, forse meno identitaria dei comuni valdostani che finiscono con la zeta, ma comunque pronta per il suo giorno speciale. Io decido di aspettare la corsa a Magneaz, mi godo la zeta e la sua tranquillità fuori dai riflettori. C’è una chiesa col campanile e ci sono casette in legno coi tetti tipici di questa zona, fatti con lastre di pietra che, spero di non sbagliare, si chiamano lose. A me sembra di stare in un puzzle, coi monti alle spalle, la luce di taglio e il profumo del taglio dell’erba. È discesa e i corridori sfrecciano veloci, verso le loro ultime fatiche. Bravi Tutti. Così recita uno striscione appeso al guardrail dell’ultima curva. È opera, splendida, di un ragazzo di Biella. Mi torna alla mente una giornata speciale, di un anno fa, che condivisi con Angelo e che non ho mai più riversato in un racconto. Castiglione delle Stiviere, provincia di Mantova e il Lago di Garda non molto lontano. Lì c’è un museo dedicato alla Croce Rossa Italiana, proprio dove Henry Dunant ebbe l’intuizione di idearla e costituirla, vedendo le donne locali soccorrere indistintamente francesi e austriaci durante la battaglia di Solferino. Milleottocentocinquantanove. Tutti Fratelli. Questo il motto che illuminò Dunant. E che mi ha riavvolto il nastro dalla Valle d’Aosta. Il Giro è un intreccio di storie, grandi e piccole, che si compenetrano e si rincorrono. E si abbracciano, quando meno te lo aspetti.


La rievocazione delle tradizioni di Verres


Ci rimane solo l’ultimo atto. E poi tutto sarà compiuto. Prima, però, c’è la Notte Rosa di Verres, forse la festa dell’anno da queste parti. Anche il castello, su in alto, brilla di luce rosa. Si balla, si suona, si canta. Mangiamo a cena con Sara, Iraia e Angelo e c’è chi ci racconta una storia che parla di campane. Poi il silenzio della valle torna a riprendersi la notte. Verres è piccola e piena di gente. Ci arrivo per la terza volta e mi sembra già casa. Il sapore del gelato, i racconti sul carnevale e sulla sua Caterina, l’ennesimo caffè e poi via, tra facce raggianti e altre più nascoste. Chissà, oggi, quale sorriderà. Sestriere è lontana e un po’ attempata. In mezzo c’è il Colle delle Finestre che vediamo di riflesso grazie allo sguardo di Ale. L’attesa è, tutto sommato, piacevole per me e Angelo, ma non sappiamo ancora cosa ci aspetterà. E allora cadono goccione di pioggia proprio quando si aprono le danze. Qualcuno sacrifica tutto se stesso per aiutare il suo capitano. Qualcun altro si danna l’anima per niente. C’è anche chi festeggia un addio al celibato, e viene dalla Scozia. I tifosi di Guglielmi, francesi. E quelli di Bardet, anche loro francesi. Tutto è confuso, come ogni fine corsa, come ogni fine Giro. Passi e rumori. Ci siamo stampati delle frasi addosso, altre ce le siamo lasciate scivolare via. Rimane il sapore del tempo che passa, che non aspetta più. E troviamo conforto negli sguardi silenziosi, quelli che contengono tutto senza il bisogno di dire niente.


È finito un altro Giro, abbiamo scritto un altro pezzo di noi.


Richard Carapaz e Isaac del Toro vedono svanire il loro Giro sotto la pioggia del Sestriere


Finisce il Giro e finisce anche la carriera professionistica di Romain Bardet



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