venerdì 21 marzo 2025

Il sapore del racconto | Tirreno-Adriatico 2025



I pini sul mare portano il peso degli stabilimenti chiusi, che sognano spesso l'estate che verrà. C'è un vento forte che soffia e accarezza la spiaggia deserta. Giusto qualche sporadica impronta a quattro zampe, in cerca di futuro e di qualche ora di libertà. Il sole pretende, comunque, la sua parte in scena e non si fa troppi problemi a scaldare un paio di sorsi di birra fuori stagione. Il Belgio arriva fin qui, fino a Follonica, che senza ruota panoramica mantiene il suo piglio operaio e giudizioso.

C'è il corso che porta verso la corsa, manichini in attesa, prigionieri di qualche vetrina chiusa per l'ora di pranzo, e la vecchia fonderia che accompagna per un po' i corridori nel loro avvicinamento, rapido e probabile, a una volata di gruppo. C'è gente di tutte le età sulle rotonde. Gente che in bici ci va, per lavoro o per piacere, verso i tramonti che pennellano le stagioni della costa, senza un ordine preferenziale. 

Questa parte di Toscana è un cuscinetto tra le sue cugine più rinomate: a nord la Versilia, a sud la zona dell'Argentario. Quelle che alla cena di Natale luccicano di più e hanno sempre qualche contatto buono e pacchetti infiocchettati di sorrisi. Eppure, Follonica convoglia in sé anime e storie che hanno il sapore del racconto vero, delle parole che entrano e scavano, in profondità. Di fronte al fuoco di un camino che stringe al petto il passato e scalda il tempo che scivola via.

Follonica è nata e cresciuta attorno ai suoi metalli, attorno al ferro e alla ghisa. Ai piedi delle Colline Metallifere, quelle che spesso abbiamo sfocato sui libri tra i banchi di scuola. Il legname buono da bruciare e il mare buono per viaggiare. Braccia e cuori per amori immaginati e scolpiti, cantati e pregati. Di certo, mai dimenticati. E poi l'Isola d'Elba, un profilo all'orizzonte per stringersi la mano da buoni amici e guardare insieme verso mete lontane.

C'è il MAGMA che fa da prezioso narratore e trasuda storia e passione da ogni suo poro. Museo delle Arti in Ghisa della MAremma. Cinque lettere, la M iniziale, quasi copia carbone di Milan, che cinquecento metri più in là alza un braccio al cielo, nel quartiere Charleroi (ritorna il Belgio), festeggia con i compagni e si veste di ciclamino, per dare colore a un mare che è ancora invernale, che è ancora informale.

Per le strade che si fanno sera, pare di sentire ancora il rumore della fabbrica, insieme a quello dei pedali che cigolano verso riva e si mischiano al sapore freddo dell'acqua che diventa onde. Le maglie di lana, soffitto di un bar, hanno i colori delle vecchie squadre di bici, a righe o a rombi. E parlano di gelati, automobili e caffè. A Follonica si corre, ma soprattutto si gusta, anche la Leopoldina, una ciclostorica che porta nel nome le insegne del granducato che fu, che fece e che chiude il cerchio con le storie di queste terre, malandate ma riconquistate. Mutate nel tempo, narrate nel tempo, in corsa col tempo.

venerdì 11 ottobre 2024

Giro dell'Emilia 2024 | Magazzini vuoti


Il ciclismo è una continua intersezione. Un incrocio. Uno scambio. A volte rischioso, altre volte amichevole, altre ancora passionale. Senza età, senza ruoli, senza divari. La vita che entra nella corsa, la corsa che entra nella vita di tutti i giorni. A proteggersi a vicenda, sotto un ombrello discreto, dalla paura di sentirsi ancora una volta inadeguati, ancora una volta, per l’ennesima volta, fuori luogo.

Sabato la partenza del Giro dell'Emilia era al vecchio mercato ortofrutticolo di Vignola. Un posto meraviglioso per un raduno dei bus, che aveva il sapore del passato ma allo stesso tempo era vetrina sul futuro tecnologico e cronaca del presente virtuale. Da un anziano signore baffi e impermeabile beige, alla Colnago arcobaleno nuova di zecca assemblata ad hoc per Pogačar. Fino ai tanti bambini a caccia di selfie. A caccia di Remco, a caccia di Roglič. Ma anche a caccia di Simone Velasco e, poco più in là, di Eleonora Camilla Gasparrini. Perché il ciclismo è universale e democratico nella scelta dei suoi missionari.

C’erano vecchi magazzini vuoti, dove un tempo si vendeva cibo fresco. Chilometro zero, per chi mangia e per chi corre. Uno di questi magazzini, però, era pieno di libri. Uno spazio di book crossing. Quella mattina era chiuso, ma si poteva sbirciare tra le maglie a rombo della saracinesca abbassata. La merce presa non si cambia. Ma in questo caso sì. 

Ai cancelli del mercato, c’era un cartello blu con una scritta bianca. Diceva “ingresso”. E, dalla parte opposta, in diagonale, c'era il suo compare “uscita”, ognuno con i rispettivi semafori, ormai in pensione. Un luogo di lavoro, oggi che i luoghi di lavoro si sono rifatti la faccia. Uno spazio vivo, oggi che vivi, spesso, fatichiamo a esserlo noi. Una culla di ricordi, oggi che i ricordi li scambiamo per paure.


La pioggia, per una volta, calzava a pennello nella sceneggiatura di una mattinata storica di una corsa storica. Cadeva, incessante, fitta, bagnatissima. Avvolgeva come una pellicola i contorni dei bus, lucidava distese di asfalto e lastroni, scivolava via sulle mantelline nemiche dei corridori. Quasi sgomitasse in continuazione perché pure lei pretendeva una parte nel copione. Migliore attrice non protagonista. 

E allora, subito fuori dai cancelli aperti, le locandine dei film della settimana osservavano curiose e severe il passaggio dei corridori verso il foglio firma. Tra una mano entusiasta al cielo per incitare il campione nuovo e una mano distratta in tasca che si era appena persa il passaggio del vecchio campione. Storie nelle storie, occhi negli occhi. Figli del tempo che torna sempre a chiederci come va.

E per una volta ancora, al cine - oggi - vacci tu.

sabato 28 settembre 2024

Giallo Luglio



Il Tour, il Tour de France. Il Tour de France en Italie. Come mai era successo prima nella storia. O meglio, la partenza del Tour de France en Italie, come mai era successo prima nella storia. Così è più corretto.

Era giugno, ma poi è stato subito anche luglio. E a me sembra già siano passati anni. Perché il mondo cambia, cambiamo noi e tutto scorre senza che il tempo ci faccia capire sotto quale diavolo di tappeto stia nascosto il pulsante stop. Che serve come il pane. Serve come quella borraccia fresca sotto il sole che picchia, serve come quella ruota amica contro il vento possente. 

Avevo visto un solo Tour, nel 2001. Figuratevi quanto tutto scorre. Stavamo ancora in piedi sulla sedia a guardare la primavera fiorire fuori dalla finestra. E fioriva. Spedita e profumata. Verde, rigogliosa, piena di speranze e volti nuovi, amori da togliere il fiato e sogni suonati a quattro mani. Quel giorno, sull'Alpe d'Huez, sfrecciavano nomi mitici. Forse anche troppo veloci. Colori sgargianti, c'erano ancora gli anni novanta nell'armadio. Gli olandesi avevano colonizzato la curva del cimitero e la Maglia Gialla era Stuart o'Grady. Australiano, contorto sulla sua bici e disperato nel provare a difenderla, quella maglia. Da solo. 

Questa foto, invece, quella di oggi, l'ho fatta a Pontecurone, uno dei "nostri" luoghi. Non potevamo che stare lì, in quel giugno che era da poco luglio. Ed era tutto giallo: finestre, portoni, vetrine, pensieri e parole. Il piccolo museo dedicato alla Pontecurone partigiana.

Perché se sei un posto speciale, non lo sei per caso. Hai macinato, dentro, chilometri e chilometri.

Il negozio di dolci, i cappellini della carovana, don Loris alto come un passista devastante. La signora (di cui ora mi sfugge il nome, che ho appuntato da qualche parte) commovente nel raccontare di suo marito e della passione per le corse di bici. E la focaccia! Come poteva mancare la focaccia? E il vigile urbano! E decine di altri volti e di altri occhi. Incrociati, sfiorati, accarezzati, in questo luglio che si è confuso con marzo.

In questo Tour che si è confuso con la Sanremo. Ma la strada, che è sempre maestra, riunisce tutto e tutti sotto le stesse braccia materne.

Io ai mesi dò un colore, da sempre.

E luglio per me è sempre stato giallo.






venerdì 28 giugno 2024

Tour de France 2024 - Terra, tanta terra


 Davanti alla stazione di Rimini, già avvolta dall’oscurità, quel che ci attrae è la fontana “alla las Vegas” con luci e schizzi d’acqua che partono da terra. Vorremmo tutti e tre farci una bella doccia, solo Michele accenna vagamente alla cosa prendendola alla lontana, la maturità ci impedisce certe cavolate, anche se a dire il vero la mattata più grande già l’abbiamo consumata: da Firenze a Rimini, lungo il percorso della prima tappa del Tour che eccezionalmente partirà dall’Italia centrale tra soli tre giorni. Dal centro di quella che forse è la città più bella, Firenze, raggiunta a suon di treno + autosus + treno, circondati da turisti di ogni parte del mondo, a luoghi remoti dove i boschi ed i monti ti avvolgono rendendoti piccolo piccolo, a paesi incantevoli come Premilcuore o Mercato Saraceno e tanta strada, tanta salita, tanta discesa, freddo, poi caldo, poi pioggia che t’inzuppa e sole caldissimo che ti asciuga ed ore ed ore di suono di cicale che diventa musica. Nuvole, vento e terra, tanta terra sino a vedere il mare improvvisamente sulla destra quando ancora sali verso l’ultimo colle e quasi ti commuovi a vedere finalmente l’Adriatico. Sembra così vicino e pensi che lo stai facendo per davvero. Senti la bici rigida e sicura sotto di te, anche lei è stata perfetta, senza un inghippo, senza un minimo problema. Grazie bici, non te lo dico mai, ma scendendo a bomba dal Titano ci penso eccome. Di tutti i chilometri, bivi, borghi e tornanti ricorderò per sempre le ore passate con Michele e Manuel, grandi atleti che hanno saputo gestire al meglio tutta la traversata e che sono stati compagni insostituibili parlando di un po’ di tutto e rendendo il silenzio d’oro, ogni volta che ne avevo bisogno. Avremmo forse dovuto farlo quel bagno in fontana, non lo so. Perché una serata così perfetta non capiterà più: nella notte di una sera d’estate dopo un giro leggendario in cui tutto è stato perfetto. Per qualche ora son tornato giovane, e solo questo pensiero basta per farmi sentire bene




venerdì 3 maggio 2024

Tirreno-Adriatico 2024 | A passo lento

Ci ho passato 4 giorni, mi sono sembrati mesi interi.

La densità di luoghi, di volti, di contraddizioni, di storie che si incontrano lungo il percorso della Tirreno-Adriatico è tale da dilatare il tempo. Da renderlo antico, profondo. Che a scavare dietro ogni angolo di un vicolo stretto e un po' buio, dentro ogni negozio di alimentari dal pavimento sbiadito, ci vorrebbero giorni di chiacchiere e condivisioni, di racconti raccontati. Nei bar - quanti bar! Nei musei, nelle chiese, negli sguardi lenti affacciati alle finestre che danno sulle piazze ampie e vissute di quei borghi arroccati e arricciati che profumano ancora - e menomale - di pietra.

Oggi colorati a festa, di azzurro di blu.

Come i due mari, così lontani, così sognati.

Da un attimo di stupore, a uno di tristezza velata. Perfino di paura, sfiorando un mucchio di case sgretolate. E subito dopo di meraviglia, di fronte alle creste improvvise dei monti che tagliano le nuvole basse di un marzo che piove e traballa in bilico nel vento. Gole, vallate, piane ventose, e poi il cielo azzurro, e poi la neve abbagliante, e poi i boschi spogli, e poi sopra un fiume, e poi a zigzag tra le buche, e poi quel pezzo d'arte che sembra un viandante, e poi un uliveto e poi ancora e poi.

L'anima di un Paese intero si nutre e matura lontano da tutto, laddove ogni giorno faticano ad arrivare i tentacoli del consumo senza costi di spedizione. Dove il tempo riacquista il suo spazio e perfino una corsa di bici appare più lenta, più educata, più silenziosa.

È il Paese reale.

A Gualdo Tadino c'è il Museo dell'Emigrazione, storie di gente umbra partita in fuga in cerca di un traguardo. Poi c'è un murale dedicato ad Adolfo Leoni. Che era nato qui, ma poi scattò verso Rieti (il piazzale dello stadio di atletica di Rieti è intitolato proprio a lui). Poi c'è addirittura un amorometro, una specie di ruota della fortuna che giri e ti dice quanto ami qualcuno. Roba che "invia nome di lui spazio nome di lei" sembra fantascienza a confronto. A Gualdo Tadino c'è arte diffusa (ben 6 musei) e non poteva che vincere Bauhaus, ovvio. Nomen omen (lo disse Plauto, che era di Sarsina e quindi di sicuro avrà visto almeno una Tirreno-Adriatico in vita sua. Tutto torna).

Arrone appare in cima a uno sperone, lungo la Valnerina, dove corrono splendidi percorsi cicloturistici che fanno su e giù nel verde. Ad Arrone la mattina presto c'è la banda che si raduna per suonare in corteo prima della partenza. Giacche rosse, pantaloni neri e strumenti dorati. Assomigliano a Ganna, che in piazza è il più acclamato di tutti. Qui il Giro c'è passato più di una volta, proprio al centro del borgo. Che non facevi in tempo a giratte e a guardalli in TV che già stavano su a Montefranco. Ma una partenza mai. Ed è tutta un'altra storia. In via Roma braccia di tutte le età poggiate sulla ringhiera in cima alle scale, una signora esce un istante in balcone e forse si chiede che diavolo sia tutta questa confusione. Un cana abbaia, su ché c'è da fare la spesa.

Alla Tirreno-Adriatico i sogni sanno ancora essere solide realtà.

Le strade per raggiungere Ascoli Piceno e la zona sfumata al confine tra Marche e Abruzzo sono tortuose e incerte. Ma è bello così, non sarebbe la stessa cosa se per andare alla Tirreno-Adriatico tutto fosse facile e lineare. Da Valle Lempia, assopita in un dopopranzo grigio, inizia la salita di San Giacomo. Tanti tornanti che salgono ripidi e a gradoni nel bosco. È la tappa più solitaria, quella più distante dal rumore dei clacson e dalle insegne luminose. Quella dei campetti sperduti. Vingegaard la domina, ma con delicatezza. La divora, ma con pazienza. Sembra quasi risuoni una eco sotto quei rami che somigliano a mani protese verso il cielo. È una natura selvaggia e bellissima, coi pali obliqui dei cartelli stradali, magari - chissà - piegati dal vento. Con le discese che ti viene da frenare un sacco, ma anche da lasciarti cadere e libero andare a cercare il tuo mondo.

Le Marche sono un ottovolante, un balzo continuo da scendere, risalire e fare subito un altro giro di giostra. Sassoferrato si chiamava Sentinum e fu teatro di grandi battaglie romane. La storia è passata spesso da queste parti, anche in bicicletta. Tra il 1967 e il 1969 Giancarlo Polidori, cognome da pedalatore doc e nativo di qui, vestiva prima la Maglia Gialla al Tour e poi quella Rosa al Giro. Non male per un piccolo drappello da 7mila abitanti. Il meteo è incerto, c'è da chiedere a Pozzovivo se pioverà. Da qui a Cagli c'è di mezzo La Forchetta. Che per una volta non fa da posata, ma da Gran Premio della Montagna. Si affaccia sul Monastero di Fonte Avellana, consiglio di Ale e non solo. Ma non ho avuto tempo, ci vediamo alla prossima. Cagli attende la corsa all'andata e al ritorno, perché c'è un circuito finale prima di salire verso Monte Petrano. Al bivio sul ponte c'è il Bar Flaminia, Strada Statale numero 3 che ha visto tante ruote e tante ammiraglie in vita sua. Si parla di calcio e di bici. E di Monte Petrano, che è di nuovo bosco, è di nuovo salita. Fino ai tornanti, che si aprono a vista verso il Monte Nerone e la Gola del Furlo. E il vento, a quel punto, non trova ostacoli e spazza forte.

Contro noi tifosi affamati e incappucciati, contro i corridori stanchi ma sereni.

Consapevoli, tutti, che il passo lento è quello a cui si aggrappa questo mondo lanciato in discesa e rimasto senza freni.

giovedì 5 ottobre 2023

Giro dell'Emilia 2023 | Altri tempi

 

San Luca e il suo portico al passaggio del gruppo dei migliori


Il Giro dell'Emilia è coetaneo del Giro d'Italia. Entrambi nati nel 1909, sotto segni zodiacali diversi. Il Giro (mi perdoni l'Emilia se non le riservo il nome maestro, la amo comunque) è del Toro che sfocia in Gemelli. L'Emilia è pura Vergine.

Antiche, leggendarie, maestose, corse in bianco e nero. Ancora oggi, che sono altri tempi.

Centoquattordici candeline portate benissimo.

Fu Eberardo Pavesi a vincere per la prima volta sotto le Torri. Fu anche il primo corridore italiano di sempre ad aver concluso un Tour de France.

Altri tempi.

A Bologna, quel giorno liberty, ventisei minuti di distacco rifilati al terzo. 

Altri tempi.

Il terzo era Ganna. Luigi.

Stessi cognomi, ma sempre altri tempi.

San Luca è un inno alla fatica e alla gloria, meta di preghiere e borracce, passi e pedali. Nascosto alla vista, il Santuario, ma sempre ben presente, attaccato al suo portico come un palloncino al suo filo.

Una scalata, nel vero senso della parola, con la strada che corre sulla sinistra in via Saragozza, poi passa sulla destra all'Arco del Meloncello, poi alla Curva delle Orfanelle torna sulla sinistra, poi alla S su in cima di nuovo sulla destra.

Uno scambio sinuoso, armonioso, elegante. Come fosse uno slalom gigante in salita. E di slalom, da queste parti, qualcuno se ne intendeva decisamente bene.

Dai Alberto, dai!

Altri tempi.

L'Emilia è piatta, fino a un certo punto. Poi si smuove, ondeggia, cresce in altezza e in levatura, diventa adulta e completa, dotta ed esemplare. Un equilibrio popolare tra colli e colture, circoli e portici. Giù fino al mare, a baciarsi con la Romagna e a guardare all'infinito.

Dove i sogni nascono o si infrangono, ma comunque vivono. Dove sui banchi di scuola si può sognare una salita a 100 chilometri da casa. E ci si può lanciare, andata e ritorno, per puntare a qualcosa di grande. Dalle onde alle vette, senza paura, come solo il talento puro sa fare. Dal mare a San Luca, col cuore e con le gambe. Senza watt né gel. E poi, nel tempo che verrà, con una bandana al posto dei capelli e col culo fuori dalla sella.

Proprio altri tempi.

mercoledì 17 maggio 2023

Il Giro siamo noi: partenza!

 di Francesco Bonasera




Il Giro entra puntuale nella quotidianità dei luoghi che attraversa.

La travolge. E la stravolge.

Per il fastidio di una strada chiusa che stimola la fantasia per la ricerca di nuove vie o per il sorriso che regala a chi passa una vita affacciata alla finestra in attesa che il mondo venga a bussare.

Può essere un'attesa lunga quattro anni, come un'Olimpiade. O può essere una primavolta, di quelle che non si scordano più.

Quasi nessuno sa chi sia il corridore che sta passando in una crono. Eppure lo incita, lo osserva, gli diventa amico per quei 10 secondi in cui sfreccia vicino. Così vicino che anch'io posso farlo, anch'io sono uno di loro.

I bambini leggono e gridano curiosi i nomi sui fogli dell'ordine di partenza, i signori anziani raccontano lucidi ed entusiasti di quella volta che Baldini vinse il Baracchi in coppia con Coppi, le signore annoiate - ma sorridenti e vestite a festa che neanche alla messa - ringraziano Dio ché finalmente l'ultimo è passato e si può tornare alle faccende importanti.

Il Giro è commovente perché il Giro è di tutti. È la cultura popolare a fatti e non a parole, è il racconto condiviso di una Storia che esce dai milioni di libri.

Il Giro siamo noi, padri e figli.

Ognuno di noi dovrebbe seguire il Giro una volta nella vita. Dovrebbero esistere ferie dedicate. Per scoprire e conoscere il Paese in cui viviamo, capirne i difetti, sentirne e respirarne la bellezza, amarne le imperfezioni. Se un futuro c'è, passa lungo queste strade, si infila nelle piazze vive di borghi dimenticati, coglie lo sguardo ampio di un artigiano nascosto, sfiora la neve inattesa di maggio e si tuffa nel blu dipinto di... rosa.

Mentre la corsa passa, proprio sotto il tuo ombrellone.