In Emilia il tempo pare scorrere col passo giusto. Quello senza intoppi della sua pianura piatta affettata dai canali sfumati nella foschia; e quello mosso dei suoi colli, che rompono la monotonia di una luce autunnale che fa l'aria spenta. Le nuvole, anche loro spente, fanno soltanto sognare che ci sia un mare, da qualche parte. Prima o poi. Ma può aspettare. Fretta non ce n'è. Siamo tutti assonnati.
Mirandola si sveglia così, piena di bici veloci e di novità. Che sono così lontane nel tempo dalla sapienza del suo passato. Ma, tutto sommato, così vicine a quell'indole perpetua di dubbi e domande, per non rimanere sempre a guardare l'orizzonte da una parte sola. Qui da oltre cent'anni si parla di pedali e di telai, le corse sono cibo gradito e spartito, nelle chiacchiere fuori dal bar. Lo sguardo poco più su ed ecco ancora i segni di giorni passati a tremare, sulle cupole e sulle facciate. Un legame silenzioso con altre terre sorelle, sul filo sottile delle ruote minori. Che minori non sono.
Io non sono emiliano e quindi forse mi sfugge qualcosa. Ma il ciclismo è sempre un aiuto valido, più che valido, per affacciarsi e guardare pezzi di storia che scorre. E il Giro dell'Emilia rispecchia a pieno i suoi luoghi. Occhi attenti e poco rumore. Scelte chiare e consapevolezza, quando ormai tutto scivola via così facilmente. Alla partenza ragazze e ragazzi sorridono e scherzano, l'aria è spensierata, ma non per questo leggera. Ci sarà un nuovo racconto da scrivere, una nuova iride da mostrare, nuove cifre da annotare. Ma per ora è solo mattino.
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