Domani si correrà il Giro delle Fiandre. Strade strette come viottoli, curve a gomito, salite perfide talmente ripide che le chiamaro "muri", tifo duro dei locali e tempo cattivo. La magia della "Ronde" sta tutta lì. Culla della passione più viscerale per il ciclismo vero. Quello delle stradine e della fatica nera. Nera come i volti degli atleti disfatti dalla pioggia e dal vento. Paese duro, le Fiandre, che non è Belgio e neppure Francia. Lingua e radici diverse. Case con tetti a spiovente e finestroni che danno su giardini senza recinto. Corsa dura per tutti ma specialmente per gli stranieri. I corridori Fiamminghi darebbero un dito pur di vincerla; impossibile riuscire a stare davanti se non si possiede determinazione da vendere. E stare davanti è fondamentale. I tifosi sono belve, ma rispettano tutti i corridori, e sanno riconoscere i grandi campioni. E' una corsa per gente che esce alla distanza. Difficilissimo che una fuga da lontano possa reggere: normalmente si spegne mano a mano che i "muri" passano sotto le ruote. Negli ultimi anni certe squadre hanno saputo "domare" la corsa piegandola alla loro tattica soporifera. E' il caso della Mapei, della Domo ed, oggigiorno, della Quick Step. Ancora una volta rabbrividisco di fronte a queste alchimie. Il percorso quest'anno ha subito alcune variazioni rilevanti, nel lodevole tentativo di limitare una condotta troppo tattica. Insomma, questa gara chiede il sacrificio dei suoi protagonisti. Solo così si entra nella storia.
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