Laurens ten Dam, a Como, dopo l'ultimo traguardo della sua carriera |
Sali su una bici, da piccolo, per gioco. Per sentirti libero, grande, per sorridere. Pedali, impari, ti rassicuri. Poi cadi, piangi, ti rialzi. E riparti. Cominci a scoprire il mondo intorno, ad aggiungere pezzetti di strada alla tua storia. Vai veloce, sempre di più. Freni, sempre di meno. Divori paure e acchiappi speranze. Reagisci, ti abbatti, ti domandi se, ti domandi perché. Incontri amici. Diventi uomo. Tramonti. È il corso delle cose, la vita va così.
Bau è Bauke. Bauke Mollema. Lau, invece, è Laurens. Laurens ten Dam. Vengono dall'Olanda, dai Paesi Bassi, per migliore precisione toponomastica. E in patria li hanno chiamati anche così, Bau & Lau. Potevano essere due dei tanti, in un Paese in cui - bisogna giusto dare il tempo alla scienza di raffinare i microscopi - il DNA della gente non ha la forma di un'elica, ma quella di una catena da bici. Invece hanno scelto di diventare ciclisti veri, professionisti. Un sogno, una soddisfazione, un traguardo. Da un lato. Dall'altro sacrificio, rinunce, fatica. Una partenza. Distanze da colmare, con gli affetti e con i luoghi, con se stessi prima di tutto. E poi con gli altri, che in corsa spesso scappano via.
Bau e Lau, prima di essere ciclisti professionisti, prima di essere colleghi, sono amici. Hanno condiviso per 7 stagioni la stessa divisa. Per 2 volte anche la stessa maglia oranje della Nazionale, ai Campionati del Mondo. Per 7 stagioni gli stessi alberghi, a volte probabilmente la stessa stanza. Per 7 stagioni sono saliti sullo stesso bus, in corsa si sono portati borracce a vicenda, si sono protetti e incoraggiati l'un l'altro. Bau, forse, mostrava un talento più promettente. Lau, invece, aveva più l'attitudine dell'uomo squadra, del gregario a tutto tondo, in sella e fuori. Poi si sono separati, squadre diverse. È il corso delle cose, la vita va così. Ma, senza alcun dubbio, in gruppo si sono sempre cercati e, fin dove possibile, supportati.
Sabato c'è stata la edizione numero 113 del Giro di Lombardia, che ora si chiama Il Lombardia, anche qui per migliore precisione linguistica. Dopo il traguardo - sulla sinistra quell'altro ramo del Lago di Como - la strada proseguiva rettilinea per un centinaio di metri. Fino ad una rotonda, in prossimità della stazione Como Nord Lago. Una stazione dei treni. Le transenne progressivamente si diradavano, per lasciare spazio al pubblico, ai turisti in preda ai selfie e ignari del ciclismo, ai mezzi di corsa che si disponevano sulla destra, in parcheggio ordinato, lungo le ombre del tramonto. Per lasciare spazio ai ragazzi che, cuffiette indosso, vagavano immersi nel loro mondo di hit di periferia. A mamme e papà a spasso con i propri bambini, in un caldo pomeriggio primo autunnale. Il ritorno di una città alla sua vita quotidiana, quel momento fuggente che impreziosisce ancora di più una giornata di ciclismo.
Con sufficiente ritardo, a ritmo lento e rilassato, ormai senza più pedalare, in maglia arancione (proprio come quella della sua Olanda), guardandosi intorno, consapevolmente e felicemente spaesato. Su quel rettilineo arrivava Laurens ten Dam. All'ultima corsa ufficiale della sua carriera. Da domani, in bici solo per divertimento. Per giocare con i suoi due figli, Jens e Bodi. In quei cento metri, atipici, strani, rari, un intero film al rallentatore davanti ai suoi occhi azzurri e brillanti. Altri centro metri, ma stavolta più indietro, alle sue spalle, accompagnato da una musica festosa in sottofondo, il podio del Giro di Lombardia 2019. Sul gradino più alto, vincitore della "Classica delle Foglie Morte", Bau. Bauke Mollema. Alla vittoria più importante della sua carriera.
La cena della sera (foto qui), fra amici veri, era sicuramente già programmata. Mancava la ciliegina sulla torta. Bau e Lau ce l'hanno messa insieme, lungo strade tortuose ed epiche. Così distanti dalla loro Olanda piatta, così vicine alle loro storie intrecciate.
Bauke Mollema, a Como, sul podio più importante della sua carriera |
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