Angelo e Alessandro alla Milano-Sanremo del 2016 |
Il conto alla rovescia. Scandito dallo speaker, accompagnato dal pubblico. Da 10 in giù. Le ultime chiacchiere, coi gomiti ancora appoggiati ai manubri. Le mantelline chiuse, le banane in tasca, le asticelle degli occhiali infilate nelle fessure del casco. Quando possibile. Gli orli gommati delle maniche corte sistemati, destra e sinistra, tra bicipiti e tricipiti sempre molto sottili. Via. Fischietto, bandiera sventolata, autorità e miss, applausi, stories sugli smartphone e per fortuna ancora qualche occhio lucido e qualche bocca spalancata, per tutta quella baraonda in città.
Le corse partono, se ne vanno. Lasciano luoghi, ne conquistano altri. Un paese attraversato da una corsa di ciclismo non sarà mai più lo stesso di prima. Ci sarà sempre qualcuno che ricorderà l'insolito. Magari qualcuno che conserverà un cimelio, una borraccia, un cappellino, una musette. Una foto di Bartali ritrovata nell'album di famiglia, chissà poi come sia finita lì.
Io ho visto tante corse partire. E ho avuto il grande privilegio di viverne due, in particolare, in un modo speciale. Alessandro vive nelle Marche, ma è ligure e ha il mare dentro, soprattutto quando lo vede dall'alto di una sgambata in collina. Angelo è un milanese british, cultore dei pedali e dei corridori di classe e di fatica. Insieme, una coppia di corsaioli unica, per passione, rigore, esperienza e amicizia. In sintonia, come le iniziali dei loro nomi.
Con Alessandro, solo con lui, ho rincorso la Milano-Sanremo del 2017, marzo. Con Angelo, solo con lui, ho rincorso il Giro di Lombardia del 2019, ottobre. Le 'loro' corse. Le corse dei loro luoghi d'infanzia, quando l'adolescenza osservava curiosa e la maturità premeva con discrezione. Le corse dei ricordi e del presente, uno scambio continuo di storie sedimentate e di scorci rinnovati. A volte dolorosi, ma sempre consapevoli. Quel sottopasso remoto verso l'Aurelia, la sagra delle castagne sulle sponde del lago del Segrino, poi le scorciatoie e i parcheggi, le chiese e gli alimentari, le rotonde percorse in bici e gli amici incontrati a bordostrada. Un sorriso, un saluto, e si va. Mi sono quasi sentito 'di troppo', io che invadevo il loro spazio privato. Ma è stata una sensazione passeggera, ampiamente messa da parte dalla loro voglia di condividere e lasciar fluire le loro emozioni, seppur frenate dall'attenzione alla guida. Dettagli visivi, aneddoti personali, nomi di bar in piazze anonime, signore ai balconi e signori coi giornali. Quella volta che pioveva forte, quell'altra della storia dei panini (alle corse c'è sempre una storia che parla di panini), quella foto che per modestia non sarà mai niente di che, ma che io so bene essere unica, per come nasce e cresce.
Pennellate di viaggi, tra passioni e affetti che si mischiano vorticosamente, come ruote che girano e non si fermano mai. Perché poi arriva il ciclismo a mettere tutto e tutti insieme. E arriva sempre. Per magia, senza una vera spiegazione razionale. Perché lo sport è così. Sintetico, efficace, tremendo, a volte cinico. Ma sempre pienamente puntuale.
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