Il Giro cerca nuove strade voltando le spalle alle sue Alpi e rivolgendosi verso sud. E’ una scelta coraggiosa che merita un analisi approfondita. Si tratta di una scelta estemporanea o di una vera e propria strategia? La leggenda del Giro è stata scritta sulle Alpi. Pordoi, Stelvio e Gavia sono nomi che trasudano ciclismo. Chiunque, appassionati e non, conosce queste montagne, il cui nome è sinonimo di fatica e di impresa. Possono essere sostituiti da Petrano, Blockhouse e Vesuvio?
Più di una volta, su queste pagine, ho scritto che avrei appoggiato un percorso che avesse rispettato i valori storici del ciclismo. Ho più volte sostenuto che il ciclismo dovesse ritrovare le stradine, le provinciali, i paesini. Sono convinto che la selezione non va più ricercata inserento una sfilza di grandi montagne in pochi tapponi; semmai semplicemente ritrovata sui percorsi misti. Il Giro d’Italia è una corsa di tre settimane, un periodo più che sufficiente a creare selezione. Purtroppo, per una decina d’anni, a cavallo tra la metà dei novanta e la metà degli anni duemila, si era assistito ad una estremizzazione dei percorsi. Volate o grandi salite; con il risultato che le sfide erano ridotte a poche frazioni (le ultimissime), mentre nelle tappe pianeggianti (le prime quindici), il gruppo viaggiava costantemente compatto, lanciato senza fantasia verso il traguardo . Ultimamente si è notata una netta inversione di tendenza. Tappe movimentate sin dall’avvio, con percorsi adatti a fughe da lontano, e strade che non consentono uno sforzo costante. Se il percorso del Giro 2009 dovesse essere il risultato di tale evoluzione, non potremmo che accogliere questa novità con grande entusiasmo.
Sono convinto che, in un Giro d’Italia, possano bastare un paio grandi tappe Alpine, a coronamento di un percorso impegnativo nel suo complesso. Le coste frastagliate del Tirreno, le arcigne arrampicate dell’Appennino e le stradine della provincia, infarcite di colline e trabocchetti sono più che sufficienti a garantire, sulle tre settimane, la grande selezione.
Più di una volta, su queste pagine, ho scritto che avrei appoggiato un percorso che avesse rispettato i valori storici del ciclismo. Ho più volte sostenuto che il ciclismo dovesse ritrovare le stradine, le provinciali, i paesini. Sono convinto che la selezione non va più ricercata inserento una sfilza di grandi montagne in pochi tapponi; semmai semplicemente ritrovata sui percorsi misti. Il Giro d’Italia è una corsa di tre settimane, un periodo più che sufficiente a creare selezione. Purtroppo, per una decina d’anni, a cavallo tra la metà dei novanta e la metà degli anni duemila, si era assistito ad una estremizzazione dei percorsi. Volate o grandi salite; con il risultato che le sfide erano ridotte a poche frazioni (le ultimissime), mentre nelle tappe pianeggianti (le prime quindici), il gruppo viaggiava costantemente compatto, lanciato senza fantasia verso il traguardo . Ultimamente si è notata una netta inversione di tendenza. Tappe movimentate sin dall’avvio, con percorsi adatti a fughe da lontano, e strade che non consentono uno sforzo costante. Se il percorso del Giro 2009 dovesse essere il risultato di tale evoluzione, non potremmo che accogliere questa novità con grande entusiasmo.
Sono convinto che, in un Giro d’Italia, possano bastare un paio grandi tappe Alpine, a coronamento di un percorso impegnativo nel suo complesso. Le coste frastagliate del Tirreno, le arcigne arrampicate dell’Appennino e le stradine della provincia, infarcite di colline e trabocchetti sono più che sufficienti a garantire, sulle tre settimane, la grande selezione.
Nessun commento:
Posta un commento